La Sinagoga: segno forte della presenza, della storia ebraica
di Tullia Catalan
Situata in via San Francesco d’Assisi n. 19, la Sinagoga è una delle testimonianze più significative della lunga e importante presenza degli ebrei a
Trieste. Considerata una delle più grandi di Europa, essa è simbolo dell’integrazione della comunità ebraica nella società triestina di primo Novecento.
Fin dagli inizi, infatti, il progetto fu di edificare un’opera monumentale che divenisse patrimonio di tutta la città. Una città che fin dal Medioevo
aveva nel suo tessuto civile una presenza ebraica bene integrata. Solo per una tentata speculazione immobiliare alla fine del Seicento era stato costituito
il ghetto e gli ebrei locali da sempre potevano possedere terreni e immobili in un clima di rispetto reciproco, non distinguendosi per segni particolari,
difesi anzi dalla comunità cittadina, anche in alcuni tentativi di battesimo forzato. Con l’istituzione del Portofranco la comunità si era ulteriormente
allargata e consolidata, ottenendo nel 1781 con l’Editto di Tolleranza la conservazione degli antichi privilegi accanto alle nuove concessioni. Le nuove
idee portate dal diffondersi dell’illuminismo e della massoneria, oltre alle speranze scatenate dal vento rivoluzionario francese, conobbero una certa
fortuna anche nella comunità locale, pur tra gli ovvi timori dei conservatori e dei più ortodossi. Personalità importanti di intellettuali di spessore
europeo furono Samuel David Luzzatto (esegeta e docente presso il Collegio rabbinico di Padova) e Benedetto Frizzi (medico). Palazzi cittadini raccontano
visivamente le fortune economiche di famiglie di banchieri come i Morpurgo o i Vivante; mentre una personalità di medico e di politico come fu a metà
Ottocento Saul Formiggini può essere un ottimo esempio di ebreo emancipato, orgoglioso difensore delle sue radici ebraiche e aperto alle nuove idee liberali.
Innovativi anche in campo assicurativo furono personaggi come Giuseppe Lazzaro Morpurgo, alle origini delle Assicurazioni Generali, coadiuvato da personaggi
come Samuele Minerbi e Marco Parente, per non dimenticare Leone Pincherle, Masino Levi e Marco Besso, ma tanti potrebbero ancora essere citati. Alla
fondazione della Riunione Adriatica di Sicurtà lavorarono ugualmente molti esponenti di spicco della comunità ebraica, come Alessandro Daninos, e nella
prima metà del Novecento non può essere dimenticata la figura di Arnoldo Frigessi di Rattalma. In tutte queste imprese i nomi dei protagonisti mostrano
poi l’intreccio fortissimo tra esponenti di tutte le principali comunità insediate, alleati fino alla Grande Guerra in una dinamica concordanza di mentalità
ed interessi.
Tra Otto e Novecento vi furono anche figure di origine ebraica, ma ormai uscite volontariamente dalla fede dei padri, impegnate in ruoli di spicco nel
dibattito politico sul fronte dell’irredentismo, da Felice Venezian a Camillo Ara a Teodoro Mayer, proprietario e direttore del giornale locale “Il Piccolo”,
attivo ancora oggi. Se i nomi di Svevo e di Saba restano forse come quelli più familiari per le loro radici ebraiche, sono state tante le figure di questa
Comunità a dare un contributo straordinario alla crescita della città: artisti e benefattori, politici e imprenditori, uomini e donne. La ferocia delle leggi
razziali sconvolse psicologicamente e ferì tragicamente nei corpi, ma svelò le fragilità di un’antica convivenza e chiese l’avvio di un nuovo cammino di
inclusione.
Data agli anni Settanta dell’Ottocento l’idea della Comunità ebraica di costruire una nuova sinagoga, più consona nelle sue dimensioni a rappresentare
l’ebraismo triestino. Le quattro scole allora esistenti, non visibili esternamente, erano giudicate inadeguate a trasmettere quel senso di decoro,
rivendicato dalla borghesia ebraica della città. Nell’Impero Asburgico gli ebrei di Trieste, circa 5.000 all’epoca e di varia provenienza, erano riusciti a
conquistarsi una posizione di autorevolezza e di rispetto tali, che in occasione di matrimoni e di funerali di famiglie appartenenti all’èlite cittadina,
si poteva contare sulla partecipazione al rito anche di cittadini non ebrei. Da questa nuova condizione scaturì il desiderio della Comunità ebraica di non
sfigurare e di dimostrare l’avvenuta adesione al diffuso modello borghese caratterizzato da decoro e rispettabilità.
La raccolta fondi e la progettazione del nuovo Tempio maggiore costarono molte energie non solo finanziarie alla Comunità ebraica di Trieste, che ci mise
anni a varare il progetto definitivo. Le discussioni sui vari possibili progetti iniziarono già nel 1870, e una delle questioni maggiormente dibattute era
lo stile architettonico da adottare per il nuovo Tempio. Del primo progetto preliminare presentato dall’ ing. Geiringer non si fece nulla: era difficile
reperire un sito adeguato alla costruzione di un tempio che avesse le caratteristiche di maestosità richieste. I terreni a disposizione della Comunità non
erano giudicati adatti a ospitare un Tempio monumentale, e vi era inoltre il problema della scarsità dei fondi finanziari disponibili.
Contestualmente fu indetto anche il concorso internazionale per il progetto, al quale parteciparono 42 professionisti, in gran parte provenienti dall’Europa centro-orientale, in prevalenza dall’Italia, ma anche da Vienna e Budapest. Il concorso, le cui realizzazioni progettuali furono visibili a tutta la cittadinanza, proprio perché si voleva costruire un’opera che divenisse parte del patrimonio della città, non fu vinto da nessuno, ma l’incarico su indicazione di un’apposita commissione fu dato a due architetti di Budapest: Emil Adler e Franz Matouschek, ai quali però la Comunità chiese dei cambiamenti al progetto originario, denominato “Patria”.
L’accordo non andò in porto, e il contratto con i due architetti ungheresi fu rescisso. A questo punto entrò in scena Ruggero Berlam, al quale la Comunità affidò la costruzione del Tempio. Nel 1906 Berlam assieme al figlio Arduino progettò il nuovo Tempio, e nel gennaio del 1907 i due presentavano i primi risultati con un preventivo dei costi che la Comunità dovette suo malgrado ridimensionare. Partirono così i lavori di costruzione dell’edificio e la posa della prima pietra fu solennemente festeggiata il 21 giugno 1908. Grazie agli sforzi di una dirigenza comunitaria infaticabile, il nuovo Tempio Maggiore, maestoso e imponente nel suo stile siriaco e nelle sue dimensioni, fu inaugurato davanti a tutta la città nel giugno del 1912, mentre la cerimonia fu accompagnata dalla musica dell’organo, che ancora oggi fa bella mostra di sé nella sinagoga. L’aula centrale è solenne e ariosa, ornata da eleganti lampadari e da fasce superiori decorate. È strutturata su tre navate e termina con un’abside, dove troneggia un imponente aròn ornato da un’edicola in granito rosa e da imponenti candelabri di bronzo a sette braccia (menoròt).
Nel corso dei decenni il Tempio, di rito tedesco, è stato testimone e anche vittima di tutte le vicende che hanno coinvolto gli ebrei triestini e l’intera città durante il periodo delle leggi razziali fasciste promulgate nel 1938 e all’epoca dell’occupazione nazista della città. Imbrattato all’esterno una prima volta nell’ottobre del 1941 con frasi ingiuriose dai fascisti, fu devastato pesantemente anche internamente il 18 luglio 1942 da un gruppo di squadristi. Con l’occupazione nazista, nel 1944 la sinagoga fu trasformata in magazzino per i beni degli ebrei e fu ulteriormente danneggiata all’interno.
Nel giugno del 1945 la cerimonia di riapertura del Tempio di fronte alle forze alleate segnò il ritorno alla vita dei sopravvissuti della comunità ebraica locale; e nel giugno del 2012 la Comunità ha festeggiato assieme a tutta la cittadinanza il primo centenario del Tempio.