La parola “tolleranza” oggi è vista giustamente con sospetto. Tolleranza infatti significa accettare qualcuno o qualcosa, ma quasi come un peso da tollerare, appunto,
non comprendendo per contro la scelta di riconoscere all’altro parità e piena dignità, la via cioè dell’inclusione. È comunque un termine che ha una nobile tradizione
ideologica. Nella prima età moderna l’Europa si trovò dilaniata dalle lotte politiche e religiose, con persecuzioni dolorose messe in atto equamente dai diversi
schieramenti ma facilmente identificate dalla voce popolare con la sola storia delle Inquisizioni cattoliche, prima quella medievale, poi quelle iberiche e quella
romana. Non fu facile il compito di quei pensatori che fin dal Cinquecento, per citare solo Erasmo da Rotterdam e Sebastiano Castellione, tentarono di aprire un
dibattito sul concetto di tolleranza, di quanti come Montaigne meditarono sulla relatività delle differenze. Fu il solo sovrano di Ungheria Giovanni II a raccogliere
questa sfida, fino a promulgare nel 1568 un editto di tolleranza contro le discriminazioni religiose, mentre la Pacificazione di Augusta (1555), l’Editto di Nantes
(1598), o la pace di Vestfalia (1648), ebbero una valenza ideologica assai più limitata. Il viaggio dei puritani Padri Pellegrini (1620) alla ricerca di una nuova
terra di libertà sembra una buona immagine di quanto l’Europa faticasse ad accettare nel suo seno le diversità ideologiche. Lo sviluppo del pensiero però, in
particolare dal pieno Seicento, avviò gradualmente la scoperta di modelli nuovi e la stagione poi dell’Illuminismo seppe, nelle sue diverse anime, dare frutti
straordinari, pensatori come Locke e Voltaire seppero dare contributi fondamentali allo sviluppo dell’idea di tolleranza. Si esplorarono tra l’altro nuove frontiere
in campo giuridico e in quello politico. Questo percorso complesso ed entusiasmante portò infatti alla scrittura di testi fondamentali sui diritti, alla Costituzione
americana, alla Dichiarazione francese. Questi documenti sono rimasti come tappe centrali nel cammino dell’Occidente, ma la strada verso una vera capacità di
inclusione, la conquista di un riconoscimento di parità capace di allargarsi a tutti sarebbe stato ancora lungo e difficile, fino ad oggi. La lotta per eliminare le
discriminazioni, di ogni tipo, sembra infatti riaccendersi costantemente sotto la pressione di tensioni e paure, specie nei momenti di crisi.
La piccola città di Trieste fin dal Medioevo aveva, forse per necessità di sopravvivenza, di fatto adottato un costume di inclusione delle diverse anime del
territorio, costume che era sopravvissuto, con qualche momento di difficoltà nella seconda metà del Seicento, fino alla decisione imperiale di apertura del
Portofranco (1719). Da Vienna allora si scelse di dar vita ad una nuova politica di economia portuale e nei decenni successivi venne deciso, ovviamente, di mettere
in atto una politica capace di attirare investitori di ogni provenienza. Come d’uso per queste istituzioni, vennero concesse delle patenti, che garantivano ai diversi
gruppi libertà di associazione e di rito. Il più tardo e generale Editto di tolleranza (1781) emanato da Giuseppe II risultò in realtà molto meno aperto rispetto alle
locali patenti già in possesso alle diverse comunità e semmai si rivelò importante la scelta di riordinare amministrativamente e vendere delle proprietà ecclesiastiche,
come l’antica chiesetta di San Silvestro, che passò così a quella che è oggi la comunità elvetico-valdese.
Per questo la parola “Tolleranza” a Trieste è evocativa di un’epoca e di eventi molto importanti. In una città posta nell’ambito di un impero multinazionale, divenuta
rapidamente cosmopolita e ricca di personalità impegnate nel commercio internazionale, nelle assicurazioni e nelle imprese di navigazione, basti ricordare tra tutti i
baroni Pasquale Revoltella e Karl Ludwig von Bruck, molti guardavano con disincanto e libertà a diversità e confini, statali o di gruppo. Questo clima inclusivo, pur
ormai limitato dall’idea di tolleranza, restò quindi in qualche modo sotteso al modo di vivere locale, anche se dall’Ottocento in poi travagli drammatici funesteranno
queste terre, ideologie e tensioni nazionali porteranno a situazioni quanto mai amare e difficili, prima che potesse essere faticosamente riscoperta e rivalorizzata la
preziosa strada dell’inclusione, del riconoscimento della ricchezza portata dall’accoglienza delle diversità.