In ricordo di Enzo Collotti

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Ieri è mancato a Firenze Enzo Collotti. La sua scomparsa rappresenta per tutti noi una ferita molto dolorosa. Se n’è andato uno studioso di straordinaria grandezza, capace di spaziare dalla storia, all’arte, alla musica alla letteratura, senza conoscere confini di sorta: la sua figura era quella di un umanista a tutto tondo. Forse è stata questa una delle radici che l’ha spinto a cercare le ragioni dei comportamenti e delle scelte disumane delle vicende novecentesche. Con una tenacia mai indebolita negli anni indagava sui mondi (quello tedesco, quello italiano) che avevano tradito le meraviglie della loro cultura attraverso le disgraziate scelte del nazismo e del fascismo. La sua curiosità, tuttavia, si spingeva ben oltre (verso la Russia, i paesi Baltici, l’universo dei Balcani, la Grecia) sotto la guida di un impegno intellettuale e politico che individuava nello studio la chiave di volta per costruire un mondo migliore. Le lacerazioni novecentesche come il razzismo, l’antisemitismo, l’oppressione degli inermi e l’aggressività nazionalista erano al centro dei suoi infaticabili studi, appassionati e rigorosi, anche quando le fonti erano ancora scarse o addirittura precluse. In occasione del suo ottantesimo compleanno sono usciti in suo onore due volumi, uno curato da Mariuccia Salvati e l’altro da Simonetta Soldani: essi rappresentano un importante compendio dei suoi innumerevoli lavori. Non solo: ne emerge la figura del maestro, nel senso più ampio e nobile della parola.

Chi ha avuto la straordinaria fortuna di conoscerlo, non può che conservarne un intenso ricordo: uomo schivo, almeno in apparenza. Era tuttavia capace di una grande dolcezza, fatta di pazienza, di ascolto, di vera curiosità verso l’altro. La sicumera accademica gli era estranea, ma, per noi giovani universitari o frequentatori dell’Istituto per il movimento di liberazione, bastava che cominciasse a enumerare, su qualsiasi argomento, una serie (per lui indispensabile) di volumi per capire tutto lo spessore della nostra ignoranza. Sorrideva, pungolava, non si stancava mai di correggere e insegnare.

Si avventurava nel nostro Istituto e con mano leggera suggeriva bibliografie e percorsi di ricerca a livello internazionale: creava allievi che con lui sono cresciuti come studiosi e come donne e come uomini.

Non ha mai usato un computer, mai ricerche su Internet: aveva la biblioteca d’Alessandria dentro di sé e dentro le sue abitazioni stracolme di libri.

Amava Trieste dove, da preadolescente, era giunto a seguito del padre, Francesco Collotti, ordinario presso l’Ateneo giuliano; aveva assistito allo strazio di una città assediata nel corso del processo del 1941 e, poco dopo, all’occupazione nazista.

Ritornato nella città giuliana a metà degli anni Sessanta, arricchisce i suoi rapporti internazionali, già molto numerosi, con l’incontro e lo scambio con gli studiosi sloveni, trovando risorse importanti nei loro archivi. Come segretario e membro del Consiglio direttivo dell’attuale Irsrec Fvg, denuncia, accanto ad Elio Apih, l’assurdità della contrapposizione nazionalista tra italiani e mondo slavo; ci fa capire come un microcosmo possa rappresentare un “laboratorio” di esperienze nazionali ed europee. I suoi studi sul Litorale adriatico in questo senso sono rimasti esemplari. Il processo per la Risiera di San Sabba, iniziato nel 1976, dopo anni e anni di silenzio, lo vede tra i protagonisti nella redazione dell’istruttoria, affiancato dal nostro Istituto.

Si potrebbe continuare all’infinito. Preferiamo, tuttavia, fermarci qui e ricordarlo come quell’uomo minuto con un’eterna giacca a coste, seduto ad aspettarci nel suo studiolo con curiosità e affetto.

Il Presidente, il Direttore scientifico e tutto il Direttivo dell’Irsrec FVG